La corteccia del cervelletto umano è sorprendente
GIOVANNI ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 26 settembre 2020.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della
Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
La nostra società scientifica segue fin dalla sua fondazione la ricerca sul
cervelletto e, presentando e interpretando le nuove acquisizioni, ha precorso i
tempi nel proporre una visione che ha mandato definitivamente in soffitta la
concezione classica di struttura esclusivamente impegnata nell’elaborazione
motoria. Lo studio dei numerosi processi psichici cui prendono parte i sistemi
neuronici cerebellari ha contribuito al più generale cambiamento di impostazione
e prospettiva della neurofisiologia degli ultimi due decenni. Ora, un argomento
di grande attualità e interesse riguarda lo studio morfologico della corteccia
del cervelletto che, con metodi e tecniche attuali, può essere risolta
finalmente nelle reali dimensioni della sua superficie.
Il cervelletto è stato studiato a lungo come partner della corteccia
cerebrale, della quale ha seguito l’espansione nel corso dell’evoluzione,
acquisendo un volume nella specie umana che non ha uguali nelle altre specie di
primati. La struttura sottile del manto corticale cerebellare presenta fini
ripiegamenti che sembrano in grado di espandere la superficie in proporzione anche
più di quanto facciano le circonvoluzioni nel pallio cerebrale.
Martin Sereno e colleghi hanno compiuto un’accurata ed efficace
ricostruzione computazionale tridimensionale della superficie della corteccia
del cervelletto, ottenendo un risultato sorprendente. Infatti, realizzando
scansioni di campioni corticali cerebellari umani per campi magnetici
ultra-elevati, i ricercatori sono riusciti a risolvere e rappresentare con
elevata fedeltà la morfologia di superficie fino alla piega più sottile,
rivelando che la corteccia cerebellare copre uno spazio equivalente quasi all’80%
dell’area della struttura omologa del cervello.
Dopo questo risultato, i ricercatori hanno realizzato uno studio sull’encefalo
di scimmia, impiegando la stessa metodologia e le stesse procedure. Il
risultato ha rivelato che la corteccia del cervelletto di scimmia ha avuto uno
sviluppo molto più contenuto: l’area superficiale del cervelletto umano ha
avuto un’espansione in rapporto alla corteccia cerebrale di gran lunga maggiore,
che gli autori hanno attribuito ai ruoli di questa struttura nel linguaggio e in
quei processi cognitivi che sono stati necessari alla nostra specie per
concepire e realizzare utensili, arnesi, strumenti e macchine.
(Martin I. Sereno et al., The human cerebellum has almost 80% of the surface area of the neocortex.
Proceedings of the National Academy of Sciences USA –117 (32): 19538-19543, 2020)
La provenienza degli autori è la seguente: Institute
of Cognitive Neuroscience, UCL Institute of Neurology, Experimental Psychology,
University College of London, London (Regno Unito); Department of Psychological
Sciences, Birkbeck University of London, London (Regno Unito); Department of
Psychology, San Diego State University, San Diego, California (USA); Departments
for Computer Science and Statistics, University of Western Ontario, London, Ontario
(Canada); Nuffield Department of clinical Neurosciences, University of Oxford,
Oxford (United Kingdom); Department of Chemistry and Chemical Biology, Harvard
University, Cambridge, Massachusetts (USA); Athinoula A. Martinos Center for
Biomedical Imaging, Massachusetts General Hospital, Charlestown, Massachusetts (USA);
Department of Neuroscience, Netherlands Institute for Neuroscience, Amsterdam (Paesi
Bassi).
Il cervelletto è quella
parte dell’encefalo che occupa la fossa cranica posteriore ed è presente in
tutti i vertebrati con uno sviluppo proporzionato a quello del cervello. Si
presenta costituito da tre parti: una struttura mediana di minore dimensione denominata
verme cerebellare, corrispondente al cervelletto primitivo presente
anche nei più bassi vertebrati (paleocerebello), e due espansioni
laterali dette emisferi cerebellari. È situato nella loggia cerebellare
delimitata dal tentorio e si sviluppa sotto il cervello, dietro il ponte, sopra
il bulbo. Il suo diametro trasverso raggiunge un massimo di dieci centimetri,
mentre verticalmente supera raramente i cinque centimetri per un peso
complessivo medio di 140 g, ossia l’ottava parte del peso del cervello. I
solchi del cervelletto consentono di ripartirlo in tre lobi e numerosi lobuli,
accuratamente descritti dagli antichi anatomisti secondo criteri che non hanno
trovato riscontro fisiologico o utilità clinica.
Il fascino esercitato sugli
antichi morfologi dalla struttura corticale cerebellare costituita da
innumerevoli lamelle è stato superiore a quello dell’organizzazione in rami e ramoscelli
diretti ai lobuli della sostanza bianca del centro midollare o tronco, cui
diedero il suggestivo nome di albero della vita. Contrariamente a quanto
creduto da alcuni studiosi contemporanei di storia della medicina, questa
denominazione non trae affatto origine dall’erronea attribuzione al cervelletto
di un ruolo vitale nella fisiologia dell’organismo, ma dall’analogia
morfologica con la tuia (Thuja, L. 1753), una pianta arborea sempreverde
delle Cupressaceae che presenta, al posto di foglie larghe, verdi diramazioni
e sotto-diramazioni multiple costituite da minuscole scagliette foliacee[1]. A differenza del cervello, in cui la sostanza bianca ha un’enorme
espansione indipendente con le sue strutture interemisferiche e il centro ovale
di Vieussens, entrando solo perifericamente nella costituzione dei giri
corticali, nel cervelletto l’aggregato pirenoforico corticale segue come un
rivestimento tutte le diramazioni della sostanza bianca che, nell’aspetto
morfologico macroscopico delle sezioni dell’organo, appare come un semplice
complemento della preponderante struttura grigia.
La corteccia del cervelletto
ha lo spessore di un millimetro o un millimetro e mezzo, e al taglio rivela due
zone di aspetto differente: 1) uno strato esterno o superficiale di
colore grigio pallido; 2) uno strato interno o profondo dal colorito
tendente al fulvo rossastro, che giustifica la definizione di strato rugginoso.
L’esame microscopico della
corteccia cerebellare consente di distinguere uno strato esterno o
molecolare, che costituisce circa la metà dell’intera struttura e presenta
abbondanza di fibre e scarsità di cellule, e uno strato interno o granuloso
caratterizzato da numerosissime cellule.
Fra queste due lamine di
tessuto grigio si interpone uno strato intermedio o zona mediana, sottile
ma caratterizzata da una fila di neuroni esclusivi del cervelletto e dalla morfologia
inconfondibile: le cellule di Purkinje.
Le cellule di Purkinje sono
disposte a formare una fila abbastanza regolare, anche se a tratti si notano
lievi irregolarità, perché alcuni di questi neuroni inibitori GABAergici sono
dislocati verso la superficie esterna della corteccia, non in linea con la
maggioranza, tanto da meritarsi il nome di “cellule spostate”, con il quale
erano state descritte da Santiago Ramon y Cajal. Le cellule di Purkinje sono
piriformi, con l’asse maggiore di 50-60 micron e una larghezza non superiore ai
25-30 micron, e presentano al polo superiore, rivolto verso la superficie
esterna della corteccia, un tronco dendritico di grande calibro che si divide
presto in grosse diramazioni principali, dalle quali originano, con una
morfologia che ricorda un po’ quella dei rami della quercia, diramazioni
secondarie e terziarie, che penetrano nello strato molecolare. L’espansione a
ventaglio si risolve in una “lussureggiante arborizzazione che si può seguire
fino alla superficie piale”[2], secondo la descrizione classica. Sui rami si possono osservare le
numerosissime spine dendritiche, che in questi neuroni sono state
accuratamente studiate nell’ultrastruttura al microscopio elettronico. È
interessante la disposizione della fitta arborizzazione dendritica delle
cellule di Purkinje, che Obersteiner paragonò a una pianta di vivaio fatta
sviluppare intorno a un “sostegno a spalliera”, da cui la denominazione di spalliera
dendritica che si adotta attualmente. Questa struttura è infatti disposta
su un piano ortogonale rispetto a quello principale della lamella della
corteccia del cervelletto, per cui si dice che l’arborizzazione a spalliera “si
espande per traverso alla lamella”[3].
Dal polo opposto o interno della
cellula di Purkinje origina il neurite che diventa cilindrasse, ossia assone
rivestito di mielina[4], presentando la caratteristica di un diametro inferiore a quello del
tronco dendritico, all’opposto di quanto accade per la maggior parte dei
neuroni. Dopo un tratto più o meno breve, l’assone emette rami collaterali,
alcuni dei quali terminano nello strato granuloso mentre altri risalgono come collaterali
retrogradi fino al molecolare dove assumono decorso orizzontale e terminano
circondando con una terminazione anulare il tronco dendritico della stessa cellula,
di un’altra o di numerose altre cellule di Purkinje, realizzando un controllo
inibitorio retrogrado dell’input che arriva dalle sinapsi formate dalle
spine della spalliera dendritica con i neuriti dei neuroni che compongono la
citoarchitettonica corticale. Dopo aver emesso i collaterali, proseguendo il
suo percorso, il neurite entra con la miriade di altri cilindrassi omologhi
nella sostanza midollare, dove costituisce la connessione diretta ai nuclei
centrali del cervelletto, ossia la via cortico-nucleare cerebellare.
In estrema sintesi la struttura
della corteccia cerebellare può essere schematizzata come segue.
1)
Lo strato molecolare,
esterno, caratterizzato dalla cellula dei canestri: contiene
ramificazioni dendritiche delle cellule di Purkinje, le fibre rampicanti
e i rami orizzontali dei neuriti dei granuli, che costituiscono la maggioranza
delle fibre di questo strato.
2)
Lo strato granuloso,
interno, caratterizzato dal tipo neuronico del granulo e dai caratteristici
glomeruli cerebellari nei quali si incontrano le fibre muscoidi e
i dendriti dei granuli. Tutto lo spessore è attraversato da fibre muscoidi
e fibre rampicanti, come da tutte le altre fibre afferenti, e contiene il
corpo delle cellule a pennacchio, particolari elementi della glia descritti
per la prima volta da Cajal.
3)
Lo strato intermedio delle
cellule di Purkinje attualmente descritto come parte dello strato
molecolare, che è stato considerato in passato l’elemento base del
cervelletto. Infatti, alle singole cellule di Purkinje, che ricevono segnali
dalle fibre rampicanti direttamente e dalle fibre muscoidi indirettamente per
interposizione dei granuli, e forniscono l’unico output dalla corteccia,
è stato dato il nome di “cervelletto istologico”.
La corteccia
del cervelletto è la regione dell’encefalo in cui è stata stabilita con maggiore
precisione la correlazione fra anatomia e fisiologia, e l’affascinante ricerca
che ha portato alla definizione della sua architettura cellulare ha avuto
inizio nel 1888 con gli studi realizzati da Santiago Ramòn y Cajal, usando il
metodo dell’impregnazione argentica di Camillo Golgi, ed è proseguita nel
secolo successivo grazie soprattutto alle osservazioni di sir John C. Eccles e collaboratori.
Dalla scuola di Eccles proveniva Rodolfo R. Llinas, che nel 1975 integrò il suo
contributo sperimentale in una sintesi schematica e concettuale resa in una iconografia
ancora oggi adoperata per illustrare la disposizione nelle tre dimensioni dello
spazio degli elementi che formano i circuiti della corteccia cerebellare[5].
Con questi
studi classici fu anche definita la natura delle fibre muscoidi e delle fibre
rampicanti. Entrambi i tipi di assoni sono eccitatori, ma obbediscono a
criteri funzionali differenti e sostanzialmente opposti.
Le fibre
rampicanti provengono da formazioni distanti, come il nucleo olivare inferiore,
e ciascuna si dirige verso la cellula di Purkinje che costituisce il suo
specifico bersaglio fin dallo sviluppo embrionario e sulla quale forma anche
più di 300 sinapsi: la scarica della fibra rampicante è estremamente violenta e
fa scomparire ogni attività del neurone di Purkinje, come fu dimostrato già nel
1964 da Eccles, Sasaki e Llinas.
Le fibre
muscoidi, al contrario, eccitano numerose cellule di Purkinje, formando solo
poche sinapsi su ciascuna di esse, e le raggiungono sempre con l’intermediazione
dei piccoli interneuroni detti granuli.
Una
descrizione anche sintetica dell’organizzazione funzionale della corteccia del
cervelletto richiederebbe uno spazio di dimensioni sproporzionate in rapporto
al testo e all’oggetto dell’articolo, per cui si rimanda alle trattazioni di
neuroanatomia funzionale, corredate da immagini che consentono la comprensione
dei rapporti reciproci fra cellule e dell’organizzazione spaziale di questi sistemi
neuronici.
Riprendiamo ora
dagli esiti dello studio di Martin Sereno e colleghi, qui recensito.
La
superficie corticale cerebellare non è espansa da ampie ondulazioni quali
quelle che formano le circonvoluzioni cerebrali, ma da un sistema di
ripiegamenti fitti, stretti, sottili e regolari con una configurazione peculiare.
Per la prima volta è stato possibile ricostruire in termini computazionali aree
e volumi della materia grigia corticale cerebellare, al livello di ciascun
singolo folium, nessuno escluso, lavorando con una tecnica multi-contrasto
ad alta risoluzione su scansioni post-mortem ottenute mediante la
metodica della risonanza magnetica strutturale (MRI).
Il risultato
ha fatto registrare un’area superficiale, corretta in base ai parametri di
condensazione, di 1590 cm2. Una dimensione significativamente
superiore a quanto riportato negli studi precedenti, ottenuti con tecniche meno
precise e analitiche, e anche più grande di quanto si aspettassero gli stessi
autori dello studio. L’esatto rapporto con l’estensione superficiale totale della
neocorteccia umana è pari al 78%.
La
superficie liscia, ossia non ripiegata e appiattita, comprendeva una stretta
striscia, larga 10 cm ma lunga quasi 1 m.
Applicando lo
stesso approccio metodologico alla corteccia cerebellare del macaco, i
ricercatori hanno trovato che il cervelletto di queste scimmie antropomorfe era
relativamente molto più piccolo, risultando di una dimensione corrispondente
approssimativamente al 33% dell’area superficiale della corteccia del cervello
del primate. Tale disomogeneità, in rapporto al grado di evoluzione delle due
specie, ha suggerito agli autori che la corteccia del cervelletto sia e sia
stata implicata nello sviluppo e nel supporto di facoltà tipicamente umane, quali
quelle connesse al linguaggio verbale e alla progettazione e realizzazione di
arnesi e strumenti.
In altri termini,
questi dati morfologici sono coerenti con le scoperte degli ultimi decenni, che
hanno attribuito al cervelletto ruoli importanti nella vita mentale della
nostra specie, particolarmente attraverso la gestione di procedure psichiche,
sul modello di quanto avviene per le procedure motorie, e mediante la
regolazione delle gradazioni di risposta cognitiva a stimoli percettivi. La già
lunga lista di funzioni attribuite al cervelletto è destinata ad allungarsi ulteriormente
con altri ruoli tradizionalmente studiati nella loro componente neoencefalica, ma
per i quali è facile prevedere l’individuazione di una importante base
neurobiologica nella corteccia cerebellare.
L’autore
della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la
correzione della bozza e invita alla
lettura delle recensioni di studi di argomento connesso che appaiono nella sezione
“NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni
Rossi
BM&L-26 settembre 2020
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94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Il nome greco θυία vuol dire “cedro”
ed è stato dato per l’odore emanato dal legno di questa pianta. Originaria di
Cina, Giappone, Alaska e regione dei grandi laghi del Nord America, in latino
era detta Arbor vitae; come vuole la legge linguistica del “conservatorismo
della periferia”, in America si è mantenuta la forma latina abbandonata in Europa
ed è ancora chiamata arborvitae. L’origine della denominazione della
sostanza bianca cerebellare è riportata nel Trattato di Anatomia Umana
di Testut e Latarjet (vol. III, p. 241, UTET, Torino 1974 e seguenti ristampe),
nel quale la translitterazione dal greco è resa con thuya.
[2] Testut e Latarjet, op. cit., vol.
III, p. 242.
[3] Testut e Latarjet, op. cit., ibidem.
[4] Ricordiamo che fu Purkinje, lo
scopritore di queste cellule, che introdusse il termine “cilindrasse” per
denominare l’assone rivestito da mielina nel sistema nervoso centrale e
distinguerlo dai neuriti delle fibre amieliniche.
[5] Llinas R. R., La corteccia del
cervelletto. Le Scienze 81, maggio 1975, ristampato in Il Cervello –
organizzazione e funzioni (a cura di Angelo Majorana), Le Scienze Editore, pp.
120-131, Milano 1978.